PETROS “SIRENE COSMICHE – OPERA GRAFICA, RITSOS E ELYTIS” – VILLA LEONI OSSUCCIO OTTOBRE 2016

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PETROS “SIRENE COSMICHE – OPERA GRAFICA, RITSOS E ELYTIS” – VILLA LEONI OSSUCCIO OTTOBRE 2016

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E’ stata inaugurata in data 15.10.2016, presso lo spazio espositivo di VILLA LEONI di Ossuccio (CO), la mostra di Petros “SIRENE COSMICHE – OPERA GRAFICA E POESIE DI RITSOS E ELYTIS”, sotto il patrocinio della Associazione Filoellenica Lombarda, del Consolato Generale di Grecia di Milano e del Comune di Tremezzina.

L’evento, che segue la mostra commemorativa PETROS “RADICI CELESTI”,  recentemente tenutasi presso il Palazzo Broletto di Como, sarà focalizzato sull’opera grafica, con alcune incisioni selezionate dalle cartelle “Il mondo è uno” e “Il giardino vede”, prodotte in omaggio ed in collaborazione con i poeti greci Ghiannis Ritsos e Odisseo Elytis.

L’introduzione alla mostra è stata curata da Massimo Cazzulo, Presidente dell’Associazione Filoellenica Lombarda, professore di lingua e di letteratura greca, studioso e traduttore di poesia neogreca.

VILLA LEONI INAUGURAZIONE MASSIMO CAZZULO

Villa Leoni, splendido edificio progettato dall’architetto razionalista Pietro Lingeri, sorge proprio di fronte all’Isola Comacina, accanto al complesso romanico di Santa Maria Maddalena di Ospitaletto, con il suo famoso campanile tanto caro al Maestro Petros, riprodotto in diverse sue opere.

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Petros, che ha creato le sue principali opere a Milano e in Grecia, è stato anche grande amante del Lario, insediandosi con il suo atelier nel comune di Ossuccio proprio al centro dell’area dove un tempo vi furono le colonie greche, realizzando meravigliosi affreschi e diversi cicli di opere in omaggio agli artisti che lo hanno preceduto, amando e operando sul Lario (Rossini, Bellini, Listz, Verdi).

Durante l’evento il pianista e compositore Roberto Binetti ha suonato in anteprima la sua composizione “Omaggio a Petros”, scritta nel marzo 2016 in occasione della mostra “Radici Celesti” al Palazzo Broletto di Como.

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Ascolta “Omaggio a Petros” 

Inaugurazione della mostra  Petros a Villa Leoni “Sirene Cosmiche – Opera Grafica e poesie di Ritsos e Elytis” –  15 ottobre 2016

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Da sinistra: Athanasios B. Kotsionis (Console Generale del Consolato Greco di Milano), Sonia Botta (Vicesindaco Comune di Tremezzina), Alex Papavassiliou figlio di Petros e curatore della mostra – Foto di Mariella Badarello
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Da sinistra: Massimo Cazzulo, Aldo Pirola, Alex Papavassiliou (Associazione Filoellenica Lombarda), Console Generale Consolato Greco di Milano Athanasios B. Kotsionis  – Foto di Mariella Badarello

 

Petros e Piero Tribulzi Storia di una goccia

Ascolta le poesie di Ritsos ed Elytis recitate da Piero Tiburzi

Petros Elytis Il Giardino Vede

Elytis

Ritsos & Tsoklis

Relativamente all’opera grafica di Petros è di recente redazione la tesi di laurea “L’OPERA GRAFICA DI PETROS PAPAVASSILIOU DALLA FINE DEGLI ANNI CINQUANTA AGLI ANNI NOVANTA” ad opera della Dott.ssa Ilaria Despina Bozzi, recentemente laureata in archeologia e storia dell’arte all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

 

Introduzione alla mostra  Petros a Villa Leoni “Sirene Cosmiche – Opera Grafica e poesie di Ritsos e Elytis” –  Prof. Massimo Cazzulo

Un Surrealismo dell’Egeo
La pittura di Petros tra modernità e classicismo

Il mio primo approccio all’arte di Petros avvenne nel dicembre 2007,  in occasione di una bella mostra organizzata a Milano, con il patrocinio del Comune di Milano e del Centro Ellenico e con la consulenza scientifica di Nikolaos e Pierre Velisiotis.

Notai subito un’affinità con la pittura vascolare minoica e micenea. Ad essa mi riportavano le figure teriomorfe che si avvinghiavano intorno alla superficie, come se volessero divorarla, e la presenza di figure che sembravano emergere dagli abissi marini (qui mostri che Eschilo chiamava “κνῶδαλα”, e che popolavano le storie dei marinai). Come i suoi colleghi vissuti millenni prima di lui sui lidi dell’Egeo, anche Petros mi sembrava affetto da orror vacui, dal timore, cioè, di lasciare uno spazio bianco all’interno del disegno, di non divorare l’intera superficie con quegli inestricabili viluppi (quasi danteschi nella loro disperata tensione) che sprigionavano una forza dirompente pronta a disintegrare la tela se si fosse rotto quel delicatissimo equilibrio di spinte e controspinte che percorrevano a ritmo vorticoso la superficie del quadro.
Certo: dietro quelle strane forme si potevano leggere anche altre sollecitazioni culturali: in particolare alcuni quadri (“Ultimo spazio nella realtà”, “Entelechia”, “Pensieri creativi”) mi richiamavano, più che Ernst, Lam o Matta (come vari critici hanno sostenuto, con maggiore competenza della mia) le audaci fantasie allegoriche del “protosurrealismo fiammingo” di Jerominus Bosh, ma fin da allora ebbi la netta sensazione che le suggestioni allogene fossero passate attraverso il prisma della cultura pittorica e letteraria della Grecia. La pittura di Petros mi si presentò fin da quel giorno come un prodotto essenzialmente greco, impossibile cioè da spiegare senza una solida conoscenza della filosofia, della poesia e, naturalmente, delle arti figurative elleniche.
Il Surrealismo, rappresentato in Grecia soprattutto da Nikos Engonòpulos, straordinaria figura di poeta e di pittore (eccelse in entrambe le “muse”) occhieggiava da quei viluppi cromatici; ma non mancavano neppure accenni e citazioni alla metafisica “ellenica” di Giorgio De Chirico, forse il più greco fra i pittori del Novecento.

Una migliore conoscenza dell’opera omnia di Petros mi ha convinto ancora di più che la sua pittura si sviluppa all’interno delle coordinate segnate dalla cultura greca in una storia che conta duemilacinquecento anni di vita (e, si badi, senza soluzione di continuità); una storia che Petros esplora con originale fedeltà, partendo da Omero per arrivare ai grandi pittori e poeti del Novecento. La sua pittura è un viaggio nei mari della grecità, un excursus sinottico fra le epoche e le tendenze della civiltà della Grecia.
Per cogliere questa radice ellenica (senza nulla togliere alle altre, sicure, suggestioni allogene, messe nella debita luce dagli storici dell’arte) è sufficiente dare un’occhiata ai titoli dei maggiori cicli pittorici:

Si comincia con “Presocratici” (anni ’80): il tema di fondo è la continua metamorfosi, l’incessante, impercettibile ma, prima o poi, definitiva trasformazione che conduce tutti gli esseri viventi dalla vita alla morte. L’opera emblematica è l’eraclitea “Panta rei”, monito eterno a non considerare nulla come definitivo, a riconoscere che la mutazione è il principio cosmico al quale tutto si adegua; ma in questi quadri c’è anche la filosofia di Parmenide, con la dialettica essere/non essere, che possiamo anche leggere come l’eterna dialettica vita/morte.
Segue il ciclo “Sirene cosmiche” (1996-98): Omero e l’Odissea, ovviamente, ma anche uno dei miti più famosi e discussi del grande “nòstos”. Omero “rilegge” il mito, di epoca micenea se non pregreca. La rivisitazione simbolica risulta chiaramente dall’ibrido morfologico disegnato dal poeta: le Sirene sono anfibie, conservano ancora elementi della loro natura ancestrale (quando erano uccelli, vivevano sugli alberi e accompagnavano con i loro lugubri canti le anime dei defunti nell’Ade) ma ormai vivono nel mare, da dove adescano Odisseo, promettendogli la gloria. Queste Sirene, simbolo degli allettamenti, delle irresistibili lusinghe, anche del narcisismo secondo una possibile interpretazione del passo omerico, diventano nella rilettura di Petros “cosmiche”, con una reminiscenza platonica, e acquistano la dimensione simbolica dell’eterno femminino. Il ciclo è anche un omaggio a Odisseas Elytis (morto nel 1996), nelle cui poesie la donna ha spesso un ruolo simbolico, incarna la potenza dell’eros. Per l’affinità elettiva con l’opera poetica del “Premio Nobel”, Petros affiancherà all’opera grafica un poemetto intitolato “Il giardino vede”, uno dei testi più metafisici della poesia elitisiana.
Troviamo poi “Entelechia” (anni 2000) il cui titolo è un richiamo verbale ad uno dei termini più importanti della filosofia aristotelica έντελέχεια: tutte le creature viventi sono un sinolo di materie e di forma, ma mentre la materia è “potenza”, la forma è “entelechia” cioè “atto. Così, l’anima è “entelechia” di un corpo che ha la vita in potenza. Con ciò – e forse questo non è senza influsso sulla successione cronologica dei due cicli pittorici – Aristotele unificava il dualismo platonico anima-corpo (entità inconciliabili), e il principio presocratico che identificava la “ψυχή” con un principio fisico, intrinsecamente unita al corpo. Fra i quadri di questo ciclo, merita, secondo me, una particolare attenzione “I poeti”, soprattutto per il cartiglio che leggiamo sopra le figure: “ο ποιητής κρατάει το κλειδί της ευτυχίας” (“il poeta tiene le chiavi della felicità”): il connubio disegno-parola, caro anche ai surrealisti, sottolinea, io credo, la fiducia di Petros nell’indissolubile legame che unisce poesia e pittura e che egli stesso sperimenta sia quando, lasciati i colori e i pennelli, si dedica a scrivere versi sia quando collabora con alcuni poeti per “completare” le sue mostre.

Come scrisse Vanni Scheiwiller “la poesia in Petros viene prima di ogni tecnica e di ogni mestiere: è pittore dell’interiorità, della visceralità del mondo, come aveva vaticinato un poeta a lui sodale, Ghiannis Ritsos, nella poesia “Pittura” dedicata all’arte di Petros: L’arte della pittura/ è/ una finestra aperta sull’interiorità de mondo”.

Continuando questa rapida periegesi nei territori ellenici dell’arte di Petros, dopo “Omaggio a De Chirico” (2005), incontriamo “Le Kariatidi” (2009-10), un viaggio nella Grecia attraverso uno dei grandi simboli della sua architettura – qui presa a sineddoche di un’intera cultura matrice dell’Occidente. I quadri sono un omaggio ad Atene, all’Eretteo (dove si trova la loggia delle Kore), all’Acropoli.
Ma il ciclo pittorico ha anche, un aggancio con la concezione femminile già espressa nelle “Sirene cosmiche”, perché le Kore, da originali colonne ginecomorfe, diventano il simbolo della donna declinata nei suoi aspetti più importanti: vergine, sposa, madre, potenza generatrice, Terra.
Non è, infine, da escludere l’eventualità che con questo ciclo pittorico Petros abbia anche voluto “sensibilizzare” il mondo culturale sulla vexata quaestio dei “marmi del Partenone”, ancora rinchiusi come una dorata refurtiva nelle buie sale del British Museum di Londra.
“Le radici celesti” (2013-14), ci portano direttamente nel mondo platonico, come esplicitamente dichiarato dalla citazione dal Timeo: “Poiché noi siamo piante celesti, non terrestri e le radici della nostra testa affondano lassù da dove l’anima ha tratto la prima generazione…”.
Petros, come un moderno demiurgo platonico dà forma pittorica al mondo delle idee che si identificano con il balenare nella mente dell’uomo dei ricordi, delle ansie, delle speranze, delle eterne domande. Come il demiurgo (che in greco significa, in primis, “artigiano”) Petros domina forme e spazi, riconduce il caotico e l’informe entro i confini dell’ordine.
Abbiamo, infine, i cicli “mitologici”: le “Nereidi”, una serie di acqueforti del 1959 dove la figura femminile si profila nelle sue rotondità di Grande Madre su uno sfondo blu che ricorda l’elemento – l’acqua – nel quale le Nereidi (ninfe protettrici delle fonti) vivevano e che vivificavano con la loro presenza, dando ragione all’affermazione di Talete, secondo la quale “tutto è pieno di dèi”. E le incisioni “Chimere”, del 1972; qui le tinte cineree, l’intrico delle linee e delle forme – che ricordano la dantesca selva dei suicidi – continuano, con altra tecnica e con differente cromatismo, la serie pittorica cosiddetta “meccanica”, ma sono anche suggerite dal clima cupo della dittatura militare che proprio quell’anno avrebbe mostrato il suo volto più animalesco, trucidando decine di studenti inermi nel Politecnico di Atene. Negli stessi anni, un grande poeta greco (e amico di Petros), Ghiannis Ritsos, nei campi di prigionia dove fu rinchiuso dal regime militare, scrisse clandestinamente alcune delle opere poetiche più importanti della seconda metà del Novecento greco. Non è un caso, dunque, che Petros e Ritsos abbiano unito le loro forze in una mostra del 1983 (Galleria Argo, Atene), dal titolo “Il mondo è uno”, titolo preso da una raccolta di poesie di Ritsos.

Quello di Petros è, dunque, un percorso che va dalle radici del pensiero greco, fino alle avanguardie del Novecento: muove da Omero per giungere a Elytis e a Ritsos passando per Eraclito, Parmenide, Platone a Aristotele; percorre la storia del concetto di “anima” e di “movimento” (così importante, come ricordato all’inizio nella sua pittura dove i centri di fuga si moltiplicano formando autentici labirinti di forme), di vita e di morte. E’ la dialettica immanente, del resto, al surrealismo, nel cui alveo Petros si muove, in particolare per ragioni anagrafiche, del surrealismo di “seconda generazione” (mi riferisco ovviamente a quello greco, pittorico e poetico), tormentato dalle angosce della civiltà moderna, dal rapporto uomo-macchina (Petros ne tratta nel cosiddetto “Periodo meccanico”, anni ’70), dalle conseguenze lasciate dalla guerra civile, la cui liquidazione dovrà attendere la metà degli anni Settanta con la caduta del regime dei colonnelli.

Il desiderio di abbattere il diaframma che ci impedisce di vedere la dimensione onirica dell’esistenza; la determinazione a ricostruire la realtà secondo le leggi dell’inconscio è stata coniugata dai surrealisti greci con l’esigenza di rispettare la loro tradizione culturale. Secondo Elitis, anzi, fu proprio il Surrealismo a permettere a lui e alla sua generazione (ancora un punto di riferimento per il panorama poetico greco) di vedere per la prima volta “il vero volto della Grecia”, sommerso dagli orpelli del razionalismo occidentale di stampo cartesiano. Aderire al Surrealismo significava, pertanto, andare alla ricerca della vera Grecia, non di quella costruita a tavolino dagli studiosi; significava, per usare una sua bellissima immagine “tuffarsi nella trasparenza”.

Bisogna ancora sottolineare, per completare questo sommario discorso sull’ambiente culturale dell’arte di Petros, che i Surrealisti greci hanno accentuato il rapporto immagine-parola coniugando l’attività letteraria con quella pittorica. Di Engonòpulos abbiamo detto; ma anche Elytis si dedicò alla pittura e al collage, e lo stesso fece Ritsos.
Non a caso Ritsos ed Elytis hanno collaborato con l’arte di Petros (e per questo figurano oggi presenti in questa mostra).

Ritsos gli dedicò anche una poesia che è al tempo stesso un riconoscimento del ruolo di Petros nella pittura greca e un inno alla sua arte:

“L’arte della pittura / è / una finestra aperta / sull’interiorità del mondo / Il grande bianco / il grande nero / si dissolvono reciprocamente, / si compongono / in un crepuscolo grigio / o in un’aurora / cancellando la superbia / dei colori esibizionisti / in una riflessiva unità / di uomini e di cose. / / E questa prima mela / abbandonata / su un letto di ferro / è una mano femminile, / rosata e pallida, / lievemente stretta – / tiene qualcosa / forse una chiave / o un chiodo / o una carezza. / / Naturalmente ci appartiene. / Amore e lotta”    (Atene, 12-12-1980: trad. N. Crocetti).

Il pittore e il poeta – spesso uniti nella stessa persona – ricercano la verità profonda dietro la verità di convenzione: è quella che il citato Elytis chiama “la mandorla del mondo, nascosta in profondità, intatta al morso”, è il tuffo nella “trasparenza” che, partendo da una reminiscenza platonica (sineddoche della tradizione culturale greca) ti porta a contatto con una realtà inattesa che purifica la memoria (Elytis, “Delos”); ma è anche, la “Finestra”, dalla quale Ritsos guarda ciò che si muove dietro il mondo reale.

Ritsos ed Elytis, due dei maggiori poeti del Novecento – non solo greco – hanno visto nella pittura di Petros un’estensione della loro idea di poesia e di realtà; una proiezione nei territori dove le leggi della materia destinata a perire sono sostituite da quelle di un’antimateria che non conosce la morte o la corruzione (Elytis) o una rappresentazione delle paure e delle speranze che si depositano nell’inconscio, creando sogni e incubi (Ritsos).

Milano, Ottobre 2016 Massimo Cazzulo

 

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Da introduzione “Petros Opera Grafica – Volos 2006” – Linogravures –  Nikolaos Velissiotis

Petros è uno dei pochi artisti della nostra epoca che insieme alla pittura ha dedicato gran parte della sua vita all’arte grafica. Già studente al Politecnico di Atene, vince quattro premi in xilografia e calcografia, e ottiene la cattedra di grafica nella stessa Università dopo la morte del suo maestro Giovanni Kefalinos. Monumentale è la sua raccolta “Chimere” (1970/72) composta da quindici xilografie incise con bulini su legno di bosso.
Dopo trent’anni, Petros riprende in mano i bulini per incidere, non più sul legno, ma sul linoleum, una nuova serie di gravures. Tramite il raffinato lavoro del bulino sul linoleum, dove con punti e linee riversa le idee, Petros unisce al dono della genialità una profonda sapienza tecnica che gli consente di riprodurre ciò che la sua fantasia vulcanica ha già creato incorporeo nella mente.

Le rime di Kavafis mi tornano alla mente mentre guardo le quattordici linogravures che Petros, preso da una sacra esaltazione, al limite del parossismo, ha creato in meno di due mesi di intenso lavoro (dicembre 2005 / gennaio 2006). Una produzione capace di sintetizzare i ricordi di un’intera vita. Possiamo dividere quest’opera grafica di Petros, in due grandi gruppi: il primo composto di cinque incisioni e il secondo di otto, con un’ultima isolata, quale “epilogomeno”. Queste opere derivano dalle grandi opere pittoriche di Petros dell’ultimo ventennio. Il primo gruppo proviene direttamente dalle sensuali, erotiche direi, forme femminili delle Sirene Cosmiche e Musicisti Extraterrestri del 1996/97. Il secondo da un’esperienza più antica, quella delle opere dedicate a de Chirico del 1991, lasciate da parte ma non dimenticate da Petros. Infatti, ricordi di una Grecia rivisitata dal grande maestro e amico di Petros, colonne, templi e manichini dechirichiani si trovano nelle opere del ’97 ( Oltre il paesaggio) e del ’99 (Il segreto dell’esistere) dai titoli originali in lingua greca, ma sono nei grandi quadri dedicati a de Chirico esposti nel 2005 per la prima volta a Volos che si trovano le idee genitrici di questo secondo gruppo. Sono i due mondi di Petros: quello mitologico, preistorico, femminile, fluido, dal movimento eterno delle sirene e quello greco, maschile, ordinato nella perfetta organizzazione della polis. L’oscura magia del Paganesimo e la solare Filosofia che tenta di illuminare ogni ombra. Petros riempie lo spazio fino all’esagerazione. Il disegno cerca di uscire dai limiti. Templi, colonne, soli, comete, forme femminili, manichini maschili, quadrupedi, uccelli ed elementi naturali si amalgamano in una cascata di idee. L’ SN XII, può essere considerato un punto di incontro di questi due gruppi, dove coesistono i due mondi suddetti. L’intensità dell’incisione porta alla dominanza del bianco (SN VII, SN X).
Nella prima incisione, forme umane, quadrupedi ed uccelli palpitano in un ambiente liquido come in un pacifico paradiso preistorico. Nella seconda, ancora quel ambiente acquatico in cui domina una grande sensuale Sirena Cosmica. La forza dell’incisione produce qui un’intensa drammaticità. La terza ci porta nel mondo dell’esperienza dechirichiana. Una colonna-manichino contornata da edifici, una cometa, un orologio, triangoli, cerchi, una bussola, creano una città fantastica. Nella quarta le forme –manichini si moltiplicano, gli edifici si prolungano in colonne, un sole stramente in basso illumina le onde di una tempesta marina. Nella quinta non ci sono più richiami ad esseri viventi: Una colonna centrale domina su elementi architettonici, rovine prodotte dal terribile dio tellurico Egelado. Dalla catastrofe che tutto ha distrutto, rimane soltanto un ricordo antico greco, nel centro di un mondo che non esiste più. La sesta, più geometrica delle precedenti, è anche la più gioiosa. Tante figure si muovono in amicizia; aquiloni volano nell’aria o restano ancora nelle loro mani. Un sole luminoso rimane chiuso in un edificio nell’ angolo inferiore dell’opera, quasi a proteggerlo dalla turbolenza dei disegni geometrici, quasi ad imprigionarlo perché non fugga e si perda. Nella settima ritroviamo le forme celesti delle Sirene Cosmiche avviluppate in un abbraccio erotico. Nell’ ottava ancora la colonna dominante nel centro, ma tutt’ intorno, dalle rovine sono sorti nuovi edifici, tra cui si trovano figure umane e un sole che finalmente si erge in alto. Di fronte alla colonna una forma femminile seduta regge un bambino in grembo e ricorda la Vergine. Questo nuovo ordine è il mondo cristiano? Nella nona torniamo nel mondo delle Sirene erotiche. Queste antichissime forme femminili, apatride, fluide in uno spazio fluido, esseri extra-terrestri primordiali che hanno tanto suggestionato ed ispirato Petros. La decima è un gioco geometrico, una cellula geometrica, un cristallo, un minerale visto attraverso un microscopio. Siamo al centro dell’Essere? Nell’ undicesima le Sirene Extraterrestri si vivificano in una danza tribale per far rinascere il ricordo perduto di quel mondo distrutto. Infatti nella dodicesima quel mondo rivive: gli statici manichini hanno preso le curve sensuali delle Sirene. I due mondi si sono fusi. La tredicesima ricorda il gioco geometrico della decima, ma qui gli angoli si sono incurvati. Le linee trasparenti dei cristalli diventano forme umane, e per la prima volta compare la scrittura: lettere greche incise al centro dell’opera. Il centro dell’Essere inizia a creare. “Entelechia,” il terzo mondo di Petros.

Non posso concludere senza dire due parole sull’ultima gravure: una grande Gorgona nel mare sotto un cielo drammatico. Mi ricorda il testo di Kazantzakis nel “Capitan Michalis”. “Era la Gorgona, la sorella di Alessandro il Grande, che si doleva e scatenava le tempeste del mare”. Nella recente mitologia greca, la Gorgona (sirena) è la sorella di Alessandro che ferma le navi e chiede ai marinai: ”Vive il re Alessandro?” Guai se gli rispondono negativamente. Fa scoppiare rovinose tempeste….

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Questi sono i desideri e le sensazioni che Petros ci ha portato qui. Il ricordo di una Grecia antica, impressioni dechirichiane e le forme femminile extraterrestri che fanno nascere e rinascere il mondo, una forza eterna che tiene il segreto della Creazione. E sceglie il linoleum come matrice del suo ultimo lavoro. Materiale più morbido del legno ma con resa più drammatica nella stampa. Anche la scelta del colore, marrone su fondo ocra, sottolinea che di ricordi si tratta, sfumati ma presenti come una serie di vecchie foto color seppia, che gli danno l’opportunità di giungere a nuove frontiere di espressione.

Frontiere che non chiudono lo spazio ma gli aprono nuovi orizzonti.
Perché come dice Eraclito: “per quanto tu cammini, non troverai mai i confini della tua anima”.

Milano, Febraio 2006 Nikolaos Velissiotis