Posted by on Mar 6, 2016 in Press | Commenti disabilitati su OMAGGIO A PLATONE “DIALOGHI DI PLATONE”

OMAGGIO A PLATONE “DIALOGHI DI PLATONE”

Petros ha dedicato a Platone diverse opere fra le quali la grande opera olio su tela  “Dialoghi di Platone” (Fedone) e il ciclo di opere Radici Celesti (Timeo).

DIALOGHI DI PLATONE – FEDONE: L’ IMMORTALITA’ DEL’ANIMA

<<Il metodo “sincronico” è ben visibile anche nel quadro “I dialoghi di Platone”. Qui, come in altre sue opere, Petros si avvale di una tecnica – l’inserzione di versi o di passi nella sintesi pittorica – usata sì da alcune avanguardie del Novecento (i surrealisti, per esempio o i dadaisti), ma che ha origine nel mondo antico, nelle iscrizioni dei nomi che sulle pitture vascolari indicavano i personaggi rappresentati. Non solo: nel caso dei “Dialoghi di Platone”, Petros inserisce (spingendo i limiti della contaminazione tra le arti ancora più in là dei surrealisti) una lunga citazione, un passo del Fedone, nel quale Socrate, in procinto di morire, discute con i suoi discepoli (la crème della cultura greca di allora) sul destino e sulla natura dell’anima. La lunga citazione è una guida alla comprensione del quadro, una “didascalia” scenica, per usare una terminologia teatrale, che ci fa capire che la pittura diventa filosofia e la filosofia, oltre che nel dialogo, si può sostanziare nel disegno e nel colore. Pittura e filosofia platonica, aristotelica, presocratica: a tutti Petros ha dedicato un ciclo pittorico>>.

                                                                                                                   Massimo Cazzulo

 

Argomento centrale del Fedone di Platone è l’immortalità dell’anima. Socrate, accusato di empietà e corruzione dei giovani, venne condannato a morte. Fedone, allievo che fu presente alla sua morte, racconta le ultime ore del maestro dedicate alla filosofia. Filosofia, che in ultima analisi, spiega Socrate agli attoniti discepoli, è proprio una lunga preparazione alla morte, che è la liberazione dell’anima immortale dal carcere del corpo. Centro del dialogo è la dimostrazione dell’immortalità dell’anima, sviluppata con una serie di prove che culminano nel cuore stesso della filosofia platonica: il mondo delle idee.

FEDONE

E l’anima, allora, l’elemento invisibile, l’elemento che se ne va via in un altro luogo affatto simile ad essa, in un luogo nobile e puro e invisibile (nella casa dell’invisibile propriamente detto), presso il dio buono e saggio” , laddove, se il dio voglia, fra poco dovrà andare anche la mia anima; ebbene, quest’ anima che, in noi, è cosiffatta ed ha tale natura, nel momento che si stacca dal corpo, ecco che subito si è dileguata e distrutta, come dicono la maggior parte degli uomini? Da questo è molto lontana, mio caro Cebete e mio caro Simmia; al contrario è molto più probabile che la cosa stia così. Se l’anima si allontana pura dal corpo, senza trarne nulla con sé, come quella che durante la vita nulla ebbe in comune con esso di sua volontà, e anzi cercava di fuggirlo e di rimanere tutta raccolta in se stessa, dal momento che a questo sempre si esercitava e questo non significa altro che essa praticava rettamente la filosofia e che, realmente, si esercitava ad accettare senza difficoltà la morte”; 0 non sarebbe questo che chiamiamo un esercitarsi alla morte?

-Senz’alcun dubbio.

– Ebbene, poiché tale è l’anima, non se ne andrà essa a ciò che è ad essa simile, all’invisibile, a ciò che è divino immortale e saggio, dove giunta le sarà dato di essere felice, liberata dal vagare e da stoltezza e da paure e da passioni selvagge e dagli altri mali umani? 

PLATONE TIMEO: LE RADICI CELESTI

Ciclo di opere, che hanno dato il titolo alla mostra che si è tenuta al Palazzo Broletto di Como nel 2016, sono dedicate al Timeo di Platone.

Petros rimase folgorato dalla frase del Timeo di Platone: << … quella specie di anima che è in noi … risiede nella parte superiore del nostro corpo … giacché noi siamo piante celesti e non terrestri …>>.  In queste opere contrassegnate da misteriose forme stimolate da trasparenti vibrazioni luminose, Petros intendeva rappresentare il mondo delle idee che continuano a balenare nel cervello dell’uomo insieme a ricordi, ansie, speranze, domande senza risposte. Nel gioco appassionante dell’<<esistere>>   unito all’appassionante della ricerca dell’ <<essere>>.  

                                                                                                             Piera Gatta

Gallery -Petros Radici Celesti

 

Argomento centrale del Fedone di Platone è l’immortalità dell’anima.
Socrate, accusato di empietà e corruzione dei giovani, venne condannato a morte. Fedone, allievo che fu presente alla sua morte, racconta le ultime ore del maestro dedicate alla filosofia.
Filosofia, che in ultima analisi, spiega Socrate agli attoniti discepoli, è proprio una lunga preparazione alla morte, che è la liberazione dell’anima immortale dal carcere del corpo.
Centro del dialogo è la dimostrazione dell’immortalità dell’anima, sviluppata con una serie di prove che culminano nel cuore stesso della filosofia platonica: il mondo delle idee.

Fedone <<Ebbene, poiché tale è l’anima, non se ne andrà essa a ciò che è ad essa simile, all’invisibile, a ciò che è divino e immortale e saggio, dove giunta le sarà dato di essere felice, liberata dal vagare e da stoltezza e da paure e da passioni selvagge e dagli altri mali umani>>

Echecrate, membro della scuola pitagorica di Fliunte, chiede a Fedone di narrare a lui e ai suoi allievi le ultime ore di Socrate, poiché le notizie giunte da Atene al riguardo sono poche e vaghe. Dopo un mese di prigionia, è infine giunto per Socrate il giorno dell’esecuzione, momento per lungo tempo rimandato, poiché dovevano far ritorno le navi che ogni anno venivano mandate a Delo in onore di Apollo, per ringraziarlo di aver aiutato Teseo a liberare Atene dal pericolo del Minotauro.
Socrate inizia a discutere della propria condizione di condannato a morte con quelli che saranno i suoi interlocutori nel dialogo: i tebani Simmia e Cebète, allievi del pitagorico Filolao. Socrate afferma infatti che la sua condizione non è affatto da compiangere, poiché qualsiasi filosofo, in quanto tale, desidera morire; ciò non significa, però, che la morte debba essere ricercata attraverso il suicidio, perché sarebbe un atto empio. L’apparente contraddizione che si viene a creare si scioglie nel momento in cui Socrate prende in esame il fatto che, come affermano certi misteri, il corpo è come un carcere, da cui non possiamo liberarci di nostra iniziativa: gli uomini sono infatti proprietà degli dèi, e sarebbe un gesto oltremodo empio togliersi la vita senza che essi lo abbiano ordinato apertamente (62a-c). Cebète tuttavia obietta a Socrate che, se gli uomini si trovano veramente nelle mani di padroni così buoni e savi come sono gli dèi, non vi sarebbe alcun motivo di desiderare la morte. A tali parole, Socrate risponde enunciando quello che sarà il fine del dialogo: il filosofo, quasi tenesse una seconda apologia, tenterà di dimostrare che nulla di male può accadere all’uomo buono né in vita né in morte, e che anzi, anche dopo la morte l’anima continuerà ad esistere, sempre protetta da divinità benevole (63b-c).
Continuando nella risoluzione del precedente paradosso, la morte è intesa come separazione dell’anima dal corpo. Il filosofo non si cura del corpo e dei suoi piaceri, ma ambisce al perfetto sapere, che appartiene solo all’anima. La morte, dunque, in quanto liberazione dal corpo, è una purificazione per l’anima; la vita del filosofo sarà allora un continuo esercizio di preparazione alla morte (64a-68b). In questo senso solo i filosofi sono coraggiosi e temperanti, mentre gli altri uomini, paradossalmente, lo sono per paura e intemperanza: la virtù infatti necessita la vera conoscenza e la purificazione da ogni altra passione, il che è prerogativa del filosofo, non dell’uomo comune (68b-69e).
Con questa prima dimostrazione generale si conclude quella che è la prima parte del dialogo.

La dottrina dell’anima-armonia
La terza parte del dialogo inizia con un momento di stallo. Socrate e gli allievi rimangono in silenzio a riflettere su quanto appena detto, mentre Simmia e Cebète restano discosti a parlare tra di loro. Interrogati da Socrate, i due tebani affermano di non essere ancora del tutto persuasi e di avere altri dubbi circa l’effettiva immortalità delle anime. Per tale motivo, propongono a Socrate altre due obiezioni. Simmia afferma che il ragionamento proposto in precedenza si adatta anche all’idea che l’anima sia simile a un accordo musicale: come l’accordo è prodotto da uno strumento e non gli sopravvive una volta che lo strumento è rotto, allo stesso modo l’anima potrebbe essere un prodotto del corpo e dissolversi con esso. Cebète invece propone un’analogia con un tessitore di mantelli il quale, dopo aver fabbricato e usurato vari mantelli nel corso della propria vita, alla fine muore prima di aver consumato anche l’ultimo: non può essere allora che anche l’anima, dopo aver vissuto varie vite, alla fine si dissolva e muoia come il tessitore?
Socrate accetta queste due ultime obiezioni, ribadendo che dovrà rispondervi subito, poiché in futuro non ne avrà più l’opportunità. Anzitutto, si sofferma su quanto detto da Simmia. Il filosofo tebano ha riproposto una teoria di origine pitagorica, la dottrina dell’anima-armonia: poiché infatti, dice Simmia, il corpo è l’unione ben temperata di caldo e freddo, umido e secco, e via dicendo, è possibile pensare che l’anima sia l’accordo che armonizza questi elementi – e che quindi, come qualsiasi armonia, essa scompaia con la scomparsa del corpo (85e-86d).
Dopo aver richiamato l’attenzione su alcuni punti condivisi delle precedenti dimostrazioni, Socrate obbietta a Simmia che l’anima non può essere paragonata ad un accordo poiché, mentre l’anima governa il corpo e ne regola le passioni, l’armonia di uno strumento non può governare lo strumento stesso; al contrario, subisce delle modificazioni a seconda di quelle cui va incontro lo strumento (92e4-93a7). Il tebano, accettando allora la dottrina della reminiscenza, deve rifiutare quella dell’anima-armonia (94b-e). Inoltre, se tutte le anime fossero armonie, dovrebbero essere tutte uguali – mentre sono diverse – e dovrebbero sottostare ai desideri dei corpi, in quanto loro prodotti – mentre si è detto che avviene l’esatto contrario (93a-95a).